venerdì 13 luglio 2012

Cercare lavoro, cosa pensano i selezionatori di lauree

Alcuni la chiamano “pezzo di carta”, eppure la laurea piace ancora a chi seleziona il personale per aziende e multinazionali. Il mondo del lavoro, anche dal punto di vista normativo, è in continua evoluzione e richiede sempre maggiori competenze, meglio se tecniche. Ecco, perché, malgrado la fortissima concorrenza, e una certa inflazione del titolo, chi compie unpercorso accademico vincente e formativo parte, generalmente, da una posizione di privilegio. A patto che sappia intercettare le esigenze di un mercato che dà occupazione solo a chi compie, a monte, scelte oculate in relazione alle prospettive occupazionali. Yahoo! Finanza ha intervistato Patrizia Origoni, marketing manager di Randstad, multinazionale olandese che opera nell’ambito della ricerca, della selezione e della formazione delle risorse umane, che ha filiali in tutto il mondo, anche in Italia.

Qual è il pregiudizio sul rapporto lavoro-laurea che più spesso viene sconfessato nel suo ambito?
Non è una domanda semplice. Direi, per paradosso, il fatto stesso di affermare che ancora oggi con la laurea sia più semplice trovare lavoro. Non è sempre vero. Dipende dal tipo di laurea che si possiede e dalla professione che si intende fare. I diplomati tecnici hanno, nella fase attuale, molte più possibilità di collocarsi rispetto al laureato umanistico, o di chi generalmente ha una laurea debole. In questi casi, se non si ha una forte propensione, una conoscenza perfetta di una lingua straniera, se non due, e anche l’esperienza pregressa collocarsi diventa difficile. Le figure generiche non le cerca più nessuno. Al laureato in ingegneria, in economia invece si chiedono, oltre alle competenze, attitudini che a volte si allontanano dal "core" aziendale.

Qual è il classico limite di un laureato italiano?
Sono tanti, lingue in primis: molti credono che nel mondo si parli italiano. Poi, l’assenza di esperienze pregresse all’estero, non solo dopo la laurea, ma anche prima, nel periodo della formazione. Infine, l’assenza di flessibilità, specialmente “in entrata”. Spesso è più flessibile il cinquantenne che deve rimettersi in gioco che il neolaureato.

Parla di una flessibilità contrattuale o mentale, ovvero accettare un lavoro non aderente agli studi fatti?
In particolare dell’adeguarsi al mercato, a prescindere dagli studi fatti. C’è chi obietta: ma non è il mestiere per cui ho studiato! C’è chiusura. I giovani spesso non capiscono che è più semplice muoversi una volta entrati nel mondo del lavoro piuttosto che stare fuori e mandare curriculum dove non figura alcuna esperienza. Chi entra in azienda, matura esperienze, contatti con i fornitori, con altre realtà aziendali e può solo migliorare.

Conta la geografia dell’ateneo da cui si proviene?

Per molte aziende no, non è rilevante che la persona sia laureata a Napoli piuttosto che a Catania o al nord. Poi esistono atenei che compiono determinate scelte in merito a corsi di studio, progetti e metodi di insegnamento. Ma in tal caso sono le aziende che tendono a selezionare certi profili. Tranne il caso di pochi atenei blasonati, contano le persone e le competenze.

E il voto di laurea?
Può essere una discriminante di ingresso, soprattutto nelle multinazionali, che ricevono migliaia di curriculum e tendono a fare selezione a partire da voti come 105,106. Negli altri contesti aziendali si preferisce valutare la persona. Ci sono laureati che hanno una marcia in più pur non avendo il massimo dei voti, perché hanno un’esperienza pregressa all’estero o hanno un atteggiamento più produttivo in una dinamica di assessment (l'assessment di gruppo è uno strumento utilizzato in casi specifici di selezione. Caratterizzato da una breve durata complessiva, consente la valutazione su più candidati contemporaneamente, ndr) Ci sono laureati col massimo dei voti che faticano a risolvere un business case o a rapportarsi in un confronto a 15, 16 persone.

La crisi ha rimesso in discussione il mondo delle banche o delle finanza. Si nota anche nel mondo del lavoro?
Non più di tanto, dalle ricerche effettuate riscontriamo che la capacità di attrazione delle banche, per un laureato in economia, resta alta. Semmai sono le banche che, a causa della crisi, mirano a inserire meno persone, richiedendo un laureato che abbia sostenuto esami di econometria o con competenze nell’ambito del risk business, che sappia quindi misurarsi con certe tecnicalità.

Ingegneria ed economia sono molto richieste: ci sono nicchie più ambite, in queste discipline?
Nel caso degli ingegneri, c’è molta richiesta nell’ambito della meccanica, una laurea ostica, che ha a che fare con la produzione, con lo sporcarsi le mani, rispetto all’ingegneria gestionale, ad esempio. In economia invece sono richiesti molto profili per il risk management o il credit managment.

Meglio un master o un’esperienza pregressa?

Dipende dalle aziende. In alcune banche, si preferisce il candidato che ha un master nel curriculum, laddove si mira a inserire poche persone e c’è una job rotation abbastanza continua. In altri casi, al pezzo di carta, si preferisce l’esperienza.

Arrivare ai vertici senza laurea è possibile o vale solo per Steve Jobs?

Si tratta di mosche bianche, di persone che hanno dentro di sé forte carattere e propensione all’obbiettivo. Senza titoli si possono comunque coprire ruoli di rilievo, pur non arrivando a essere il megadirettore, in posizioni di vertice, soprattutto nelle aziende di medie dimensioni. 





Fonte Yahoo Finanza

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