lunedì 29 luglio 2013

Rischio Pensione per gli Italiani

Pur consapevoli che non potranno ritirarsi prima dal lavoro, e che l’assegno pensionistico sarà esiguo rispetto ai sacrifici fatti, gli italiani non sono abbastanza “accaniti” sul tema previdenziale. Come rivela un’indagine di Mefop (Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione) il 68% non conosce con precisione il metodo con cui in futuro verrà calcolata la pensione che gli spetta, quindi il valore dell’assegno pensionistico. 

Il campione include una metà di lavoratori che hanno già scelto un percorso di fondi di integrazione, e una metà che si affida esclusivamente allo Stato. Gli assiomi sono chiari ma sono i corollari che mancano: gli intervistati sanno cheandranno in pensione dopo, e sanno anche la copertura garantita dalla pensione pubblica è ridotta, ma, ad esempio, il 71% di coloro che hanno versamenti compresi tra i 18 e i 33 anni, non sa che l’assegno sarà calcolato con un sistema misto ma prevalentemente contributivo; il 51% di coloro che non ha più di 17 anni di versamenti non sa che andrà incontro a un calcolo fatto con un sistema integralmente contributivo

Se il sistema pubblico appare poi vulnerabile, anche quello della previdenza complementareappare incapace di rasserenare gli intervistati sulla capacità di puntellare il loro futuro. La stagione della pensione serena, e magari anche baby, è finita per sempre, visto l’approccio autoritario con cui si chiedono sacrifici al contribuente, spostando sempre più in là il momento dell’addio al posto di lavoro. E gli italiani si attrezzano. 

Secondo i dati Covip, infatti, gli iscritti ai fondi di previdenza integrativa nel 2012 erano 5,8 milioni con un aumento del 5,3% rispetto al 2011. Ma nel 2013, per la crisi, sono 1,2 milioni coloro che hanno sospeso i versamenti ai fondi, 100mila in più rispetto al già alto numero del 2011. L’emblema di un approccio ambivalente anche riguardo alla previdenza integrativa, ma che rivela inevitabilmente la fine di una stagione e di una convinzione, quella secondo cui sarebbe stato lo Stato a occuparsi totalmente della pensione. Un cambio di passo che si traduce nel bisogno di pensare alternativamente al futuro perché anche per investire nei fondi pensione ci vuole competenza, scegliendo quando e come aderire, al fine di rendere maggiore il rendimento. 

Cosa devono fare quindi gli italiani, magari rilanciare le loro stesse speranze e credere che prima o poi il governo, se dura, metterà mano a una riforma per introdurre un meccanismo flessibile che consenta a chi lavora di scegliere quando ritirarsi ma entro una forbice prestabilita? Sicuramente essere più consapevoli di una situazione in cui, come scrivevano Walter Passerini e Ignazio Marino nel 2011 nel saggio Senza Pensioni, “chi ha iniziato a lavorare negli ultimi 10 anni sa che riceverà una pensione molto più bassa (dal 20 al 30 per cento inferiore, in rapporto all’ultimo salario) di chi va oggi in pensione”.

I lavoratori, insomma, sono da un lato costretti a confrontarsi con contributi previdenziali sempre più bassi, dall’altro ad accettare, in molti casi, salari netti al ribasso, spesso in ingresso, pur di lavorare, con la consapevolezza che, come nuovi entrati, anche 45 anni di versamenti potrebbero non bastare per maturare requisiti per una pensione di sussistenza decente.



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